La guerra mette a rischio anche le esportazioni agroalimentari veronesi in Russia e in Ucraina già pesantemente colpite dall’embargo del 2014.

Oltre 800 oggi a Mestre gli allevatori e agricoltori della Coldiretti provenienti datutto il Veneto – più di 200 dalla provincia scaligera – che hanno manifestato con trattori e animali contro la guerra scatenata da Putin che affossa l’economia e il lavoro. Giovani, donne, allevatori e pescatori insieme ai rappresentanti delle istituzioni si sono alternati sul palco per sostenere un’azione condivisa a tutela del patrimonio agroalimentare e degli anelli deboli della filiera: produttori e consumatori.

Al loro fianco è sceso per primo Luca Zaia Presidente della Regione del Veneto insieme al Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro con lui anche l’assessore comunale Renato Boraso ed ancora gli assessori regionali all’agricoltura Federico Caner e Territorio  Cristiano Corazzari, il Presidente del Consiglio Veneto Roberto Ciambetti, la Vice Francesca Zottis e il Vice Nicola Finco  e i consiglieri regionali Marco Dolfin, Silvia  Cestaro, Laura Cestari, Roberto Bet, Gianpietro Possamai, Enoch Soranzo, Puppato Giovanni, Gabriele Michieletto. C’erano anche numerosi primi cittadini del veneziano con la fascia tricolore per sottolineare la preoccupazione contro la guerra scatenata da Putin.

“Oggi tanti agricoltori veneti sono intervenuti per denunciare un problema importante e trasversale che riguarda tutte le filiere: l’aumento dei costi di produzione ormai insostenibili per le nostre imprese ma senza un conseguente aumento dei prezzi dei nostri prodotti. Chiediamo che venga applicata la legge contro le pratiche sleali che permetta di dare una soglia del prezzo da pagare per coprire i costi di produzione.

È inoltre necessario dare un aiuto alle filiere più in difficoltà attraverso i fondi del PNRR perché ne va della sopravvivenza delle aziende agricole anche scaligere”, precisa Alex Vantini, presidente di Coldiretti Verona.

Se le vendite in Russia hanno raggiunto lo scorso anno a livello nazionale 670 milioni di euro con un aumento del 14% rispetto al 2020, dovuto soprattutto a pasta, vino e spumante, quelle in Ucraina valgono altri 350 milioni di euro, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat.

Gli effetti del conflitto ucraino rischiano dunque di cancellare completamente il Made in Italy a tavola dai mercati di Mosca e Kiev aggravando ulteriormente gli effetti dell’embargo deciso da Putin con il decreto n. 778 del 7 agosto 2014, e da allora sempre prorogato, come risposta alla sanzioni decise dall’Unione Europea, dagli Usa ed altri Paesi per l’annessione della Crimea. Un blocco che è già costato alle esportazioni agroalimentari tricolori 1,5 miliardi negli ultimi 7 anni e mezzo.

Il Decreto di embargo tuttora in vigore colpisce una importante lista di prodotti agroalimentari con il divieto all’ingresso di frutta e verdura, formaggi, carne e salumi, ma anche pesce, provenienti da Ue, Usa, Canada, Norvegia ed Australia. L’agroalimentare è, fino ad ora, l’unico settore colpito direttamente dall’embargo che ha portato al completo azzeramento delle esportazioni in Russia dei prodotti Made in Italy presenti nella lista nera, dal Parmigiano Reggiano al Grana Padano, dal prosciutto di Parma a quello San Daniele, ma anche verdura e frutta, tra cui le mele veronesi Granny Smith.

Al danno diretto delle mancate esportazioni in Russia si aggiunge la beffa della diffusione sul mercato russo di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il Made in Italy, realizzati in Russia come parmesan, mozzarella, robiola, o nei Paesi non colpiti dall’embargo come scamorza, mozzarella, provoletta, mascarpone e ricotta Made in Bielorussia, ma anche salame Milano e gorgonzola di produzione Svizzera e reggianito di origine brasiliana o argentina.

Nei supermercati russi si possono trovare fantasiosi surrogati locali che hanno preso il posto dei cibi italiani originali, dalla mozzarella “Casa Italia” all’insalata “Buona Italia”, dalla robiola Unagrande alla mortadella Milano. Il danno riguarda anche la ristorazione italiana in Russia che, dopo una rapida esplosione, ha dovuto rinunciare ai prodotti alimentari Made in Italy originali.



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